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Volersi bene, un chiarimento..

  • Immagine del redattore: Miguel Psicologo
    Miguel Psicologo
  • 13 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 15 lug

Persona che finge di guardarsi in un pezzetto di specchio rotto
Persona che finge di guardarsi in un pezzetto di specchio rotto

"Volersi bene", "avere amor proprio", "prendersi cura di sé", "accettarsi".. sono espressioni che sentiamo spesso, ma il loro significato profondo è tutt’altro che semplice.

Per non rischiare di incappare nelle solite semplificazioni da bar è utile fermarsi un momento e domandarsi: Cosa significa NON volersi bene?

Tuttavia, per rispondere, dobbiamo fare un ulteriore passo indietro e chiederci: Quali sono i vissuti interni, le esperienze soggettive, le sensazioni ed emozioni che ci parlano, silenziosamente, del rapporto che abbiamo con noi stessi?


Tutti noi sperimentiamo sensazioni piacevoli e spiacevoli nel corso della giornata. Non parliamo di situazioni, ma di sensazioni. Gli eventi esterni (come un terremoto) o interni (come un dolore alla gamba) vengono trasdotti dagli organi di senso ed elaborati dal sistema nervoso centrale, che attribuisce loro un significato. Questo processo non è neutro: è modulato dalle esperienze pregresse, dalle convinzioni su noi stessi e sul mondo, nonché dallo stato emotivo del momento.

L’output finale, concreto e accessibile alla coscienza, si traduce in una sensazione con valenza piacevole o spiacevole. In altre parole, riceviamo un’informazione su ciò che ci attrae o respinge, ciò che desideriamo avvicinare o evitare.

Alcune sensazioni, però, non riflettono ciò che accade all’esterno, ma parlano di ciò che accade dentro: di ciò che ci piace o non ci piace di noi stessi.


Rappresentazione "eccelsa" delle emozioni umane
Rappresentazione "eccelsa" delle emozioni umane

Quando parliamo invece di "emozioni", siamo ad un livello di analisi più fine: ciò vuol dire che abbiamo capito qualcosa di più rispetto alla qualità della sensazione provata. Ad esempio, potremmo notare una sensazione spiacevole di "nodo alla gola", ma potremmo non aver ancora compreso che tale sensazione si riferisce ad un emozione che chiamiamo "tristezza".

La sensazione viene valutata in base alle sue caratteristiche edoniche, l'emozione invece viene catalogata e definita in base alla qualità dell'esperienza vissuta:

1) tristezza: perdita;

2) gioia: bisogno soddisfatto/obiettivo raggiunto;

3) paura: minaccia di uno scopo.

E cosi via..


Un esempio..

Mario, al lavoro, sta prendendo un caffè alla macchinetta; accanto a lui ci sono i suoi colleghi. Durante l’attesa, avverte una sensazione spiacevole che non riesce a identificare. Non sa definirla, se non per il fatto che è sgradevole. Se proviamo a osservare quali pensieri gli attraversano la mente in quel preciso momento, troviamo qualcosa di simile:“…ma quanto ci sta mettendo? Speriamo faccia in fretta, non so cosa dire a Giorgio e Luca, non sono in grado di iniziare una conversazione, sono un incapace. Sicuramente hanno capito che mi sento a disagio, mi staranno giudicando come un inetto…”

In questo caso, Mario sta formulando pensieri che rappresentano un mix di convinzioni, credenze e valutazioni non tanto rivolte all’esterno, a ciò che accade fuori di lui, quanto piuttosto all’interno: sta giudicando sé stesso, valutandosi come una persona incapace — nello specifico, incapace di iniziare una conversazione.


Persone con foglietti appiccicati in testa.. se fosse così semplice leggere la mente delle persone non esisterebbero gli psicologi..
Persone con foglietti appiccicati in testa.. se fosse così semplice leggere la mente delle persone non esisterebbero gli psicologi..

Lettura della mente: proiettare sugli altri convinzioni proprie..

Inoltre, Mario sta proiettando questa sua convinzione all’esterno, sui suoi colleghi, convincendosi che “sicuramente hanno capito” il suo disagio e che lo “staranno giudicando come un inetto”.

Mario non sta formulando un giudizio negativo su ciò che accade attorno a lui (anche se possiamo intuire che preferirebbe una macchinetta del caffè più veloce), ma sta criticando sé stesso, il proprio atteggiamento, definendosi incapace.

In più, attribuisce questa stessa valutazione anche agli altri, immaginando che i colleghi condividano la sua convinzione.



Credenze disfunzionali..

Se volessimo rendere il quadro più completo, potremmo dire che l'unione tra il pensiero "non so cosa dire a Giorgio e Luca" e la convinzione "sono un incapace", in termini tecnici, dà forma ad una credenza "se...allora":

SE mentre attendo il caffè alla macchinetta non so cosa dire ai colleghi, ALLORA sono un incapace.

Vi sono altre credenze che possiamo dedurre dall'analisi dei pensieri:

SE mentre attendo il caffè alla macchinetta non so cosa dire ai colleghi, ALLORA mi staranno giudicando come un inetto.

SE non so cosa dire ai miei colleghi, ALLORA capiranno che mi sento a disagio.

E potremmo continuare..


Conclusione e applicazioni pratiche..

Fondamentalmente Mario ha sviluppato una convinzione di base - "sono un incapace" - alimentata da una serie di credenze disfunzionali - "se non inizio una conversazione, allora sono incapace" - che non fanno altro che rafforzare la percezione di sé come persona inetta e incapace. Il fatto che consideri l'assenza di iniziativa in una conversazione come prova della propria inadeguatezza è solo una delle molte possibili interpretazioni.

Potrebbe considerarsi inetto anche se la conversazione iniziata si interrompe troppo presto, oppure perché non ha pensato di offrire il caffè ai colleghi.. o, al contrario, perché lo ha fatto ma "non era il momento giusto per farlo".


Personaggio poco raccomandabile, ma che rappresenta figurativamente (alla perfezione) il concetto di focus attentivo..
Personaggio poco raccomandabile, ma che rappresenta figurativamente (alla perfezione) il concetto di focus attentivo..

Lungi dal voler offrire una definizione esaustiva di cosa significhi "volersi bene", possiamo iniziare a porre un piccolo tassello: questo concetto ha molto a che vedere con il tipo di credenze e giudizi che rivolgiamo a noi stessi, più che all'esterno.

Iniziare a chiedersi: "dove sposto la mia attenzione quando vivo un'esperienza?", può essere una delle domande che ci aiutano a fare chiarezza in presenza di una sensazione spiacevole che non riusciamo ancora a definire.


Fattele ste domande.. fattele!
Fattele ste domande.. fattele!

Tornando all'esempio iniziale, Mario, pur non riuscendo ancora a specificare le sensazioni che prova (le quali probabilmente riflettono un mix di emozioni quali: tristezza, ansia, vergogna), potrebbe cominciare a focalizzarsi su quali pensieri, convinzioni, credenze sta mobilitando nell'interpretazione di una data situazione, partendo da una domanda preliminare semplice, ma utile allo scopo: "Sto valutando ciò che accade fuori, la situazioni, le altre persone.. o sto valutando me stesso?".



Buon lavoro!

Vostro caro, M.


 
 
 

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