Mindfulness: tutto ciò che conta è adesso!
- Miguel Psicologo

- 24 lug
- Tempo di lettura: 7 min

Navigando tra siti e articoli troviamo definizioni a dir poco fuorvianti e incomplete della mindfulness, la quale viene spesso definita come una pratica che ha ”come obiettivo principale il raggiungimento di un grado di consapevolezza massimo attraverso il quale l'individuo dovrebbe raggiungere uno stato di benessere”.... “gli individui dovrebbero riuscire a controllare e contenere emozioni, sensazioni e pensieri negativi che possono portare alla sofferenza”. Inoltre, la mindfulness trova le sue radici ne..“la filosofia buddhista secondo cui la sofferenza (intesa come sofferenza psicologica) deriva da una visione errata della realtà che può essere corretta mediante la meditazione”..
Quando mi trovo di fronte a certe insufficienze, la tensione sale e mi trovo costretto a scaricarla in qualche modo.. Come? Cercando quantomeno di ridurre i fraintendimenti, per cui: ecco a voi!
Principi fondamentali
Partiamo dal definire un paio di punti sulla filosofia da cui la mindfulness moderna trae le sue origini: il buddhismo. La tradizione buddhista vede il dolore e la sofferenza come parte integrante della vita.
Per comprendere appieno il senso di questa antica tradizione non ci conviene concettualizzare la sofferenza come uno stato che l'uomo raggiunge facendo "qualcosa di sbagliato", ad esempio coltivando una visione "errata" della realtà, anzi.
La visione è più o meno questa: l'uomo tende a scivolare nel dolore e nella sofferenza quasi "naturalmente"; dato che la tendenza naturale è quella di sperimentare sofferenza e dato che, fondamentalmente, il dolore emotivo non è qualcosa di eliminabile, occorre intraprendere un percorso che porta all’accettazione (vedremo dopo che questo non significa non si possa ridurre la sofferenza). Accettare, in questo senso, non significa né arrendersi, né gradire la situazione che ci procura dolore.

In pratica, accettando, si smette di lottare per uscire dalla condizione dolorosa e si inizia a riconoscere che quella condizione “è presente”, oppure che un certo evento spiacevole “è accaduto”. Se non accettiamo ciò che ci procura sofferenza generiamo una condizione interna di "avversione".
Avversione significa “respingere”, desiderare di non sperimentare sofferenza. Questo pone l'essere umano in una condizione di sostanziale fragilità nei confronti della sofferenza stessa (e non di “resilienza”, come sarebbe auspicabile). L'atteggiamento di avversione, come l'evitamento, non prepara a conoscere il dolore, non insegna ad affrontarlo: abitua ad allontanarlo, a nasconderlo, rendendoci ulteriormente sensibili ad esso. E’ impossibile eliminarlo, per cui si ripresenta, ancora e ancora, generando maggiore avversione, minore resilienza, maggiore fragilità.
Quindi… cosa fare?
Aggiungiamo che non è possibile né anticipare né prevenire la sofferenza. Pertanto, come prima cosa, occorre porsi in una posizione di ascolto.
L'approccio "mindful", semplice nella teoria ma molto difficile nell’applicazione, prevede di accogliere e divenire “saggi conoscitori” della condizione stessa del dolore, imparando a riconoscere quando si presenta, dove si colloca nel corpo, come si evolve (e come se ne va..).
Questo processo di conoscenza deve avvenire rigorosamente senza giudizio e senza aspettative (non dobbiamo attenderci o sperare che finisca!). In pratica si tratta di sviluppare un'attenzione saggia, non giudicante e intenzionalmente focalizzata sull’attimo presente, piacevole o spiacevole che sia.

Un paio di cenni storici “flash”
"Rimanere ancorati al presente", "cogliere ciò che accade esattamente come accade, senza giudizio" sono i principi fondamentali della pratica Vipassana (nell'antica lingua indiana pali, Vipassana: "vedere le cose in profondità, come realmente sono"), una tecnica di meditazione buddhista che ha ritrovato vita nell’odierna e famosa “mindfulness”.
Dobbiamo il merito a Jon Kabat-Zinn (biologo, professore emerito di medicina, scrittore) per la fondazione di una clinica divenuta famosa in tutto il mondo, la Stress Reduction Clinic presso la University of Massachusetts Medical School. Qui ha applicato i principi della mindfulness, sviluppando alcuni protocolli (tra cui il "MBSR" - mindfulness based stress reduction) che hanno ottenuto importanti riscontri scientifici nel trattamento del dolore cronico, dello stress cronico, di alcune psicopatologie e nella prevenzione delle ricadute nei disturbi depressivi.
Sensazioni piacevoli
Torniamo a noi....
Di converso, quando sperimentiamo sensazioni piacevoli, la tendenza naturale è quella di desiderarne ancora, e in misura crescente. Anche questo atteggiamento, secondo il buddhismo, conduce alla sofferenza, poiché predispone alla frustrazione e a un senso di impotenza. Dato che ogni oggetto o evento piacevole tende, nel tempo, a perdere o ad affievolire la propria intensità, non conviene “attaccarsi” ad esso.
Basti pensare a quante volte, mentre facciamo qualcosa che ci piace, sperimentiamo in parallelo una sottile sofferenza legata alla consapevolezza che quel piacere finirà e che ne vorremmo ancora, finendo così per non goderne appieno.

Non attaccarsi al piacere non significa non goderne, bensì imparare a farlo in modo pieno e consapevole. Evitare di bramare l’oggetto del piacere (pensando a come trattenerlo o riprodurlo), restando consapevoli del fatto che prima o poi finirà, equivale ad aprirsi ad esso in modo nuovo: significa godere intensamente di ciò che si ha, senza aspettarsi di averne ancora. Questo atteggiamento non solo consente di apprezzare maggiormente ciò che è presente, allenando la capacità di coglierne la ricchezza nel “qui e ora”, ma riduce anche la frustrazione legata alla fine di quel piacere, evitando di instaurare una forma di dipendenza.
In sintesi, accogliere momento per momento l’evento piacevole quando si presenta, riconoscendone la qualità e gli effetti che procura al nostro corpo, consapevoli che anch’esso avrà una fine, ci conduce verso un rapporto più libero, autentico e meno frustrante con il piacere stesso.
MINDFULNESS e PENSIERO: un esempio chiarificatore
Quando il nostro Mario (ormai è il pilastro dei nostri esempi clinici) deve alzarsi la mattina per andare al lavoro, impreca e si agita, anticipando che sarà una giornata pessima e stressante. Nella sua testa, immagina già come verrà salutato dall'impiegata all'ingresso (con il solito sguardo sprezzante), che avrà una serie di documenti già pronti sulla sua scrivania che nessuno gli ha anticipato e che dovrà leggere da cima a fondo per comprendere cosa farne.. che alla pausa pranzo dovrà stare con i soliti colleghi che fanno battute pessime sulle loro mogli ecc..

Questi pensieri, non si limitano ad anticipare una serie di eventi che di fatto non esistono ancora, rendendoli vividi come fossero reali, ma generano in Mario emozioni negative e sensazioni spiacevoli: agitazione motoria, fastidio che pervade tutto il corpo, formicolio diffuso e un calore alle mani e ai piedi; queste sensazioni tendono a peggiorare la qualità della sua mattinata, demotivando ulteriormente. A causa di ciò, una volta uscito di casa si sente già stanco e frustrato. Non oso immaginare come può evolvere la giornata, se inizia in tal maniera.
Cos'è accaduto? In pratica, Mario ha vissuto una serie di eventi spiacevoli come fossero reali, ma che tuttavia erano semplice frutto della sua immaginazione.
Ad ogni modo, sarebbe inutile andare da Mario e rassicurarlo proponendogli: "Mario, stai tranquillo, sono solamente dei pensieri, ora goditi la colazione!". Immagino già con quale pacatezza Mario possa rispondere a questa gentile rassicurazione. Eppure, in linea teorica, per stare bene, dovrebbe fare proprio quello.
Due (+1) sono le ragioni pratiche:
La prima è che quegli eventi (per quanto possano avere una certa probabilità di accadere) sono immaginati e, pertanto, non reali. Chi vorrebbe pagare due volte il conto di una cena? Prima di andarci, immaginandosi alla cassa, e una seconda volta nella realtà? Il concetto è un po’ questo: perché vivere una condizione di sofferenza due volte, quando è possibile viverla una sola volta (e aggiungerei: forse).
La seconda ragione è che c’è una splendida colazione davanti a lui, che non sta assaporando come meriterebbe.
Volendo, ci sarebbe anche una terza ragione, più complessa ma altrettanto concreta: immaginare eventi spiacevoli rafforza l’idea che quella sia la realtà. Ovvero, se il lavoro di Mario, nella realtà, è stressante 6/10, ma lui continua a pensare che sia stressante 9/10, in un certo senso il suo corpo reagisce in modo più intenso rispetto a quanto dovrebbe.
La pratica della meditazione, intesa come pratica della consapevolezza, ha proprio l’obiettivo di decondizionare l’uomo da questi processi e reazioni automatiche (pensieri, comportamenti disfunzionali, ecc.).
In che modo? Svincolandosi dalla tendenza a reagire immediatamente (pensando a qualcosa o agendo in un certo modo), e portando invece l’attenzione al presente: alle sensazioni, al corpo, alla situazione che si sta vivendo in quel momento.
Ancorarsi al presente: trovare un oggetto di “ancoraggio”
Tuttavia, per imparare a concentrarsi sul presente è necessario avere un oggetto su cui posare l'attenzione. Questo "oggetto" può essere il corpo o una sua parte, il respiro, un suono, un gusto (come quello della brioche di Mario o dell'aroma del caffè), un odore, ma anche un pensiero.
Nella tradizione Vipassana il respiro è il protagonista indiscusso. Porre attenzione al respiro ha una serie di importanti benefici. Secondo i grandi maestri della meditazione, il respiro è una sorta di riproduzione in piccola scala del ritmo della natura: nel respiro possiamo riconoscere il flusso costante di espansione e ritiro, nascita e morte, entrata e uscita, inizio, fine e nuovo inizio.

Il respiro conduce a scoprire la natura delle cose così come sono: in continuo divenire (proprio come il piacere e il dolore, che vanno e vengono). Inoltre, è un compagno di vita, condiviso da tutti gli esseri viventi e sempre presente. È come un centro di gravità, un porto sicuro in cui tornare nei momenti di bufera.
Modalità dell’essere e modalità del fare
Un concetto fondamentale, secondo la tradizione buddhista, per percorrere la via del “benessere”, è trovare un equilibrio tra due stati dell’essere umano: l’essere e il fare. La meditazione aiuta a coltivare la modalità dell’essere, quella condizione in cui non è richiesto fare nulla, ma semplicemente “essere ciò che si è”.
La nostra organizzazione socio-economica, l’accelerazione tecnologica, i flussi di lavoro e la cultura stessa ci spingono invece a vivere per la maggior parte del tempo nella modalità del fare. Permanere a lungo in questa condizione porta con sé un agire spesso inconsapevole, e talvolta privo di senso. Basti pensare a quei momenti in cui, travolti dalla rabbia, reagiamo impulsivamente: rompiamo qualcosa, feriamo qualcuno con parole che non avremmo voluto dire, per poi renderci conto, solo dopo, di aver esagerato, senza capire davvero cosa ci ha portato a esplodere in quel modo.
Lo stesso vale per le reazioni più sottili e apparentemente innocue, come prendere lo smartphone in mano nei momenti di noia o di dolore, senza neppure accorgercene. Anche quella è una forma di automatismo che nasce dal “fare” e dall’evitamento, più che dalla consapevolezza.
Coltivare la modalità dell’essere, invece, ci aiuta a osservare ciò che siamo e ciò che ci attraversa. A distinguere cosa ci agita da cosa ci calma, cosa ci spegne da cosa ci accende, cosa ci dà sollievo da cosa ci muove in profondità.
Tuttavia, nutrire questa modalità non è semplice. La meditazione richiede costanza: non giorni, ma mesi... anni. È una pratica che non andrebbe abbandonata. Come per l’attività fisica: se smetti di allenarti, i muscoli si atrofizzano. Come per l’alimentazione: se non bilanci macro e micronutrienti, prima o poi il corpo ne paga le conseguenze.
Lo stesso vale per la consapevolezza. Se smetti di portare intenzionalmente l’attenzione al presente, sarà più facile accumulare stress, perdere contatto con chi sei e con chi stai diventando, dimenticare la ricchezza del momento che stai vivendo.

Buon lavoro,
Il vostro caro M.




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