PROGETTO “BORTOLAZIA”: UNA CITTA’ CREATIVA IDEATA DAI BAMBINI
- Miguel Psicologo

- 12 feb
- Tempo di lettura: 11 min
Favorire lo sviluppo della creatività e incentivare la collaborazione e la percezione di auto-efficacia nei bambini è un obiettivo che mi pongo costantemente sin dall’inizio della mia carriera professionale, come insegnante della scuola primaria. Nell’attuale contesto socio-culturale tali competenze risultano essenziali, non solo come strumenti individuali nei confronti di un’organizzazione sociale sempre più complessa e vincolata alla spinta dell’innovazione scientifica, ma anche come risorsa produttiva da destinare alla realtà economica del nostro paese.
La capacità di innovare è un’eccellenza italiana che non può essere messa in secondo piano, in un contesto in cui la fuga dei cervelli cresce a dismisura. L’attenzione ai campi del sapere scientifico nei curricoli nazionali, che risponde efficacemente alla crescente domanda professionale, dev’essere foraggiata dallo sviluppo di competenze umanistiche, tra le quali trova spazio proprio quella creativa.
La forza creativa è necessaria alla sopravvivenza di una società che si nutre di innovazione e che affronta quotidianamente problemi caratterizzati da un alto tasso di complessità e incertezza.
Obiettivi progettuali
La mia proposta trova fondamento nello studio della psicologia cognitiva, dello sviluppo e delle organizzazioni, nelle quali mi sono specializzato e con le quali ho lavorato nel corso del tempo, migliorando il mio approccio attraverso l’osservazione dei gruppi classe.
L’idea è nata dalla volontà di sostenere 3 competenze fondamentali negli alunni tra gli 8 e i 9 anni (classe terza della scuola primaria):
In primo luogo, la capacità di innescare processi creativi nel bambino, il quale già possiede un repertorio “innato” di energie interne da mettere al servizio della realtà in cui vive. Spesso, tali energie vengono disperse in quanto percepite come prive di pragmaticità o, al peggio, ostacolanti. Tuttavia, la forza immaginifica dei bambini è una grande potenzialità da tenere in considerazione utilizzando le giuste lenti e imparando ad indirizzarla, senza manipolare eccessivamente la natura di quel flusso creativo.
In secondo luogo, la capacità di collaborare realmente verso un obiettivo comune. Il problema del cooperative learning, come inteso oggi nella pratica, è che le attività proposte si scontrano con la fugacità del compito didattico, il quale è decontestualizzato e limitato negli obiettivi e negli effetti. Per esperienza vedo utilizzare lo strumento del cooperative learning come fosse un oggetto magico che restituisce automaticamente effetti significativi sull’apprendimento del bambino, ritenendo addirittura superfluo conoscere le fondamenta su cui si basa tale metodologia. Invece, è necessario conoscerne le basi pedagogiche per capirne il senso pratico (progettuale e applicativo). Il compito deve possedere un certo grado di concretezza per attingere il più possibile alle risorse del bambino, per aumentare la sua motivazione e per restituirgli significato. Inoltre, il cooperative learning deve tendere ad un obiettivo comune raggiunto con interdipendenza, ovvero necessariamente con l’appoggio dell’altro, rendendo impossibile il raggiungimento di un risultato se prodotto individualmente. Spesso i compiti di cooperative learning proposti in aula mancano di questi elementi.
In terzo luogo, l’attitudine alla responsabilizzazione che necessita e, allo stesso tempo, crea, in un circolo vizioso, “autoefficacia”. La proposta tiene in considerazione questo necessario presupposto. Il bambino, nel suo naturale sviluppo, deve sentirsi auto-efficace e deve sentirsi in grado di prendersi delle piccole responsabilità. Questo non vuol dire lasciarlo solo nell’implementazione delle attività, ma permettergli di essere proattivo nella gestione del compito.
Un’impostazione didattica di questo tipo permette la creazione di una sinergia tra gli alunni e un equilibrio funzionale nel compito: ovvero, il compito, per sua natura, riesce ad auto-alimentarsi, creando nuove sfide da affrontare e rendendo necessarie nuove soluzioni da ricercare anche nella collaborazione.
La proposta
“Bortolazia” è un nome d’invenzione creato durante una lezione di grammatica mentre ragionavo con i miei alunni sul senso dei nomi comuni e propri. “Bortolazia” è il nome proprio di una città d’invenzione che nasce nella mente dei bambini. Un nome proprio divenuto rilevante quando il sottoscritto, autoproclamatosi sindaco di una civiltà ai suoi albori, chiese ai bambini di immergersi in un’esperienza unica e molto impegnativa: la creazione di una nuova città, una città che si alimenta nella fantasia, ma non per questo irreale. Difatti, l’obiettivo è stato quello di creare una città “dove tutto è possibile”, ma fino ad un certo punto. Una città creata dai bambini che dia sfogo alla creatività ma che introduca anche alcuni aspetti della realtà odierna (ad es. quello legislativo e lavorativo). Un compito da affrontare con il pensiero libero, ma anche con la logica.
3.0.1 Prima fase (creativa)
Siamo partiti con un brainstorming, lavorando solamente con la fantasia. Il primo approccio alla creazione di un’opera così considerevole non può essere destabilizzata da richieste troppo impegnative, altrimenti si rischia demotivazione. Ogni componente della classe ha proposto una “cosa fantastica” da inserire nella nostra città immaginaria, senza vincoli. Ed ecco che nacquero idee come:
una borraccia che parla e cammina;
una strobosfera al posto del sole;
la “discuolateca”: una scuola/discoteca;
una zucca che regala caramelle di verdura.

Questi elementi fantastici erano portatori di un significato molto importante: il fatto che questa città è differente ed è creata da “loro”. Sono oggetti simbolo di una realtà distintiva nata dall’unione delle forze del gruppo classe. Tale esercizio è stato sì necessario a favorire un certo flusso di pensiero creativo, ma altresì ad accendere un comune senso di appartenenza.
3.0.2 Seconda fase: il cartellone
La seconda fase del progetto ha previsto il disegno di questi oggetti fantastici e la preparazione di un cartellone che doveva servire a dare forma e rendere “tangibile” la città “Bortolazia”.
Necessario alla creazione del cartellone fu certamente decidere la posizione geografica: “Dove inserire questa città?”. Da quest’ultima domanda ne seguirono altre, come ad esempio: “Qual è il miglior posto dove vivere?”, “Dove vogliamo vivere?”.
Nascono quindi le prime condivisioni di significato, i primi diverbi e le prime mediazioni. Durante questa fase è stato importantissimo lasciarli conversare per dar loro la possibilità di familiarizzare con l’idea che per un progetto così grande è necessario agire congiuntamente, rischiando anche lo scontro, in forza di un bene maggiore: la cooperazione. Sono intervenuto solamente per mostrare ai bambini aspetti positivi e negativi del vivere in un ambiente piuttosto che in un altro. Siamo giunti alla conclusione che ci sarebbe piaciuto inserire “Bortolazia” in un ambiente collinare-montano.
Dato che i bambini iniziano a porsi le prime “domande di realtà”, spingo i bambini a ragionare sugli obiettivi del nostro progetto. Tra gli obiettivi del progetto sono emersi:
in primo luogo, la creazione di una città che funziona;
in secondo luogo, stabilire un ruolo (sociale/lavorativo) per ognuno;
infine, rendere la città il più possibile sostenibile.
3.0.3 Terza fase: I ruoli
Agli albori del progetto, durante la fase di pianificazione, volevo che questo si potesse alimentare ed equilibrare da solo e che quindi possedesse un certo “equilibrio funzionale”. Desideravo che la natura del progetto fosse potenzialmente in grado di proporre, in modo continuativo, nuovi stimoli, i quali avrebbe reso gli alunni, da una parte costantemente partecipi, dall’altra autonomi. Pertanto, le attività del progetto avrebbero dovuto costantemente dare vita a:
necessità nascoste, ma insite nel compito (ad es. come ci procuriamo da mangiare?);
modalità diverse di volerle soddisfare (ad es. un mercato aperto al pubblico vs acquisto presso agricoltori indipendenti);
attività di cooperazione e risoluzione diplomatica per superare le difficoltà (ad es. brainstorming di proposte e voto).
Un progetto che potesse rendere davvero consapevoli i piccoli alunni di non essere soli nel mondo, ma di doversi scontrare con le necessità altrui, per muoversi insieme verso un equilibrio strutturale.
La creazione immaginiaria di una città ha reso perfettamente questo processo, soprattutto nella fase della creazione dei ruoli.
Qual è il ruolo dei cittadini di “Bortolazia” (ovvero gli alunni della 3^B)? Qualcuno inizialmente ha provato ad affermare: “..non facciamo nulla, nella città dove tutto è possibile possiamo anche solo giocare!”; ma la proposta “creativa” si è scontrata con il pragmatismo di un altro alunno: “Sì, ma come mangiamo?”. C’è anche chi ha risposto mettendo in gioco congiuntamente fantasia e concretezza: “E’ vero che sarebbe bello, ma ci stuferemo prima o poi di giocare e basta! E poi qui il gioco è proprio far funzionare una città!”.
Qui è stato davvero possibile rendersi conto dell’energia auto-alimentante del progetto stesso e di come questo tendesse verso una naturale creazione di nuovi orizzonti. I bambini, sotto la mia supervisione, hanno quindi cominciato ad assegnarsi dei ruoli lavorativi utili allo sviluppo di “Bortolazia”. Il mio compito in questo caso è stato quello di caratterizzare meglio i ruoli a cui aspiravano, spiegando loro cos’è un agricoltore, cos’è un falegname e così via, in modo da permettergli di ragionare in modo più concreto sullo sviluppo di un possibile “sistema economico” funzionante (a grandi linee). Non importava quanto potesse funzionare nella realtà un sistema di quel tipo, importava che funzionasse dal punto di vista logico, a partire dalle loro conoscenze a disposizione. Non importava quanto potesse essere sostenibile, importava che si tendesse ad una sostenibilità a partire dalla migliore soluzione raggiungibile grazie alle loro basi conoscitive.
Il nostro è stato un vero e proprio processo scientifico, seppur basilare, che ci ha permesso di ragionare sul cosa fare, tenendo in considerazione il punto di vista altrui, e sulla fattibilità delle decisioni prese assieme. Siamo riusciti infine a dare un ruolo ad ognuno, come ad esempio:
Anna raccoglie i frutti dagli alberi;
Nina si occupa dell’agricoltura;
Christopher alleva cavalli;
Eliza cucina;
Sophia fa la giornalista.

Alcuni ruoli hanno reso necessario istituire ulteriori ruoli ad essi connessi, per questo il sistema economico è stato visto e rivisto fino al raggiungimento di un equilibrio, se non perfetto, quantomeno sensato.
Ad esempio: Anna raccoglie la frutta ma come la trasporta agli altri cittadini? Creiamo il ruolo del trasportatore di frutta o dotiamo Anna di un mezzo di trasporto? E in montagna che mezzo di trasporto possiamo considerare come accettabile? Ecc..
Questa attività ha permesso loro di ragionare considerando l’altro, pensando alle condizioni necessarie alla creazione del proprio ruolo e alle implicazioni per i compagni. Ha permesso loro anche di sentirsi davvero responsabili all’interno del progetto, in quando facenti parte di un sistema complesso caratterizzato da una forte interdipendenza.
3.0.4 Quarta fase: Una giornata a Bortolazia
La quarta fase è stata quella di immaginare la propria giornata tipo all’interno di “Bortolazia”. Gli alunni hanno simulato delle interazioni possibili durante una giornata-tipo tenendo in considerazione i ruoli definiti (es. “A. finisce di raccogliere i frutti”, “C. prende i frutti e li trasporta ai cittadini di Bortolazia”, “I. utilizza i frutti per preparare dei dolci”, “B. va a comprare una torta da I.”, ecc..).
Una volta fatto ciò si sono proposte alla classe possibili innovazioni o modifiche alla struttura socio-economica vigente. Ad esempio, dal lavoro di immaginazione è emerso immediatamente un problema: “Come scambiamo i nostri beni e servizi?”. Pertanto, cominciammo a ragionare su cos’è una moneta di scambio, a cosa serve e perché può semplificare la vita a “Bortolazia”. Ad esempio “Christopher alleva cavalli (che sono un importante mezzo di trasporto all’interno di “Bortolazia”), ma quanto valgono i giri al cavallo rispetto all’uva coltivata nei vigneti di Nina?”. Ancora, “Nina come può offrire 1 kg d’uva a Christopher se a lei non servono i servizi offerti da quest’ultimo nell’immediato?”.
Tutti questi dilemmi si risolvono introducendo una moneta di scambio e ragionando sul valore dei beni e servizi offerti da ognuno. Ed ecco che grazie alla fantasia dei nostri alunni, che sempre accompagna il processo razionale grazie al quale “Bortolazia” può funzionare, nasce l’albero dei bortoli: un albero saggio e insindacabile (che ha a cuore la salute economica della città e per tale ragione distribuisce i bortoli in modo da non creare disuguaglianze) che al termine della giornata lavorativa, consegna agli alunni una moneta (il “bortolo”) nella quantità che ritiene più opportuna alle ore lavorate durante il giorno.
I bambini hanno potuto imparare in modo basilare, ma efficace, il funzionamento di un sistema esistente nella realtà. Peraltro, l’apprendimento di tale sistema (applicato con i dovuti aggiustamenti all’interno della città di “Bortolazia”) è stato accompagnato da grande interesse poiché gli alunni erano motivati a risolvere un problema palesatosi in una“realtà” percepita come .
3.0.5 Quinta fase: La costituzione
L’ultima fase del progetto è nata grazie e a causa dei conflitti dei nostri alunni cittadini. È normale scontrarsi quando si hanno punti di vista e necessità differenti, ma è anche giusto definire delle regole per limitare per quanto possibile i litigi quando c’è una soluzione pronta all’uso. Pertanto, abbiamo preparato insieme delle regole di comunità accettate da tutti: una sorta di “Costituzione” (Figura 3). Questo ci ha permesso di ragionare sul senso delle regole, sulla loro applicabilità e sulle possibili sanzioni da applicare in caso di violazione.

Di seguito, a titolo di esempio, alcune delle regole della “Costituzione di Bortolazia” proposte dai bambini:
Rispettare l’ambiente in tutti i modi possibili;
Ogni cittadino ha diritto ad un’uguale quantità di cibo tranne chi ne ha più bisogno per il suo lavoro (ad es. la pasticcera);
Dobbiamo stare tutti attenti a non farci del male perché siamo tutti indispensabili nella società di Bortolazia;
Essere gentili con gli altri, provando ad andare sempre d’accordo;
Si parla uno alla volta per rispettare la parola di ognuno.
Vedere alunni di 8-9 anni (più abituati a rispettare regole, che a porle in essere) creare delle regole allo scopo di risolvere dei problemi, è stato straordinario.
Ritengo quasi lapalissiano discutere l’utilità di condurre un alunno alla scoperta del senso fondante di una regola attraverso la sua ideazione. Accenno solamente che i benefici a livello di condotta nella vita di classe, seppur non controllati sperimentalmente, sono stati palesemente più che visibili.
4.0 Conclusioni e punti di forza del progetto
4.0.1 Ruolo
Ognuno ha assunto un ruolo all’interno di “Bortolazia”, pertanto tutti hanno avuto la possibilità di partecipare attivamente. L’alunno con dsa o con disabilità intellettiva si è sentito considerato e parte fondamentale di un sistema che funziona anche grazie al suo contributo. Ad esempio, se A. è un alunno con disabilità intellettiva che ama il mondo della cucina. Il suo ruolo potrebbe essere quello dello Chef. Esso troverebbe sfidante mettere in essere il ruolo di cui sopra; potrebbe fare delle ricerche per riuscire a capire che ricette proporre a partire dalle combinazioni possibili delle materie prime procurate dai compagni che si occupano di agricoltura e allevamento.
4.0.2 Responsabilizzazione
Dotare i bambini di un senso di responsabilità all’interno di una simulazione/gioco, permette loro di sentirsi “utili” e “autoefficaci” in un ambiente sicuro. Permette loro di sperimentasi senza vincoli di giudizio e controllo. Il mio ruolo è stato quello di avviatore del progetto e supervisore, ma è stato importante creare il cuore del progetto assieme ai bambini per far sentire loro un senso di responsabilizzazione naturale in tutte le fasi del progetto.
4.0.3 Creatività
Come precisato all’inizio della presente trattazione, la creatività è un motore potentissimo nella società odierna. C’è sempre più bisogno di menti creative e innovative all’interno di un sistema economico che spinge verso la sostituzione umana a favore di quella tecnologica.
All’interno del presente progetto, non v’è stata praticamente alcuna mediazione tra l’immaginazione del bambino e l’implementazione del progetto. Il progetto stesso ha posto sfide che hanno trovato quasi immediata risposta risolutiva nella cooperazione tra i bambini. Questo ha permesso loro di allenare il processo creativo, in un’atmosfera di gioco, cionondimeno sfidante.
Peraltro, come esplicitato precedentemente, ogni fase del progetto è stata creata sinergicamente. La “fase progettuale” è stata vista e rivista insieme per svincolare i bambini dall’idea del compito imposto dall’alto (elemento che funge da blocco creativo).

“Una banalissima considerazione dimostrerà che il bambino non progredisce verso la morte come l'adulto; esso progredisce verso la vita, giacché il suo scopo è la costruzione dell'uomo nella sua pienezza di forza e di vita. Quando appare l'adulto, il bambino non esiste già più. Tutta la vita del bambino è un processo verso la perfezione, verso un maggior completamento. Basta questa osservazione per dedurre che il bambino può trovar gioia nell'adempimento di un compito di sviluppo e di perfezione. Quello del bambino è un tipo di vita in cui il lavoro, l'adempimento del proprio dovere, recano gioia e felicità, mentre per l'adulto il lavoro generalmente rappresenta una funzione piuttosto penosa. Questo procedere nella vita è per il bambino un estendere e un ampliare sé stesso: più il bambino cresce in età, più diviene intelligente e forte. Il suo lavoro e la sua attività lo aiutano ad acquistare intelligenza e forza, mentre nel caso degli adulti il passare degli anni determina piuttosto il contrario.”
Montessori in “La mente del bambino”
Miguel Di Chiappari




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